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Consigliato con: qualcosa che viene da lontano.
Il mio caro nonno mi ha chiesto di scrivere un pezzo su tutto quello che di questo straordinario paese mi meraviglia. Non c'è niente di più facile! Eppure, sono passate quasi due settimane e ancora non ci sono riuscito. Perché? In fondo, basta andarsi a fare una passeggiata per essere in continuazione attirati da un dettaglio, da qualcosa che pur essendo esattamente al suo posto ci lascia interdetti, talvolta perplessi, spesso incuriositi, quasi sempre sorpresi e non di rado meravigliati.

Per esempio, questa gente mette le sciarpe alle statue. E non sto parlando di un comportamento raro, dell'umorismo di qualche studente un po' alticcio, la sera prima. Tutte le volte che a passo per Kagurazaka, mi fermo lungo la strada che l'attraversa per guardare la statua di un bambino. L'atmosfera è già abbastanza fatata perché intorno a me sono stati installati altoparlanti che riempiono l'aria della prima sera con la melodia pigra e nostalgica di una fisarmonica. Già questo basta a strizzarmi il cuore. Mi fermo a guardare il bambino perché dalla scorsa settimana ci sono stati dei cambiamenti. Mi pare che l'ultima volta che sono passato di qua avesse solo una sciarpa al collo... mentre ora sfoggia un cappellino di lana e un cappotto. Che abbia cominciato a fare più freddo? Può ben darsi, e così qualcuno si è premurato di coprire la sua lucida pelle di pietra come fosse un bambino vero. O forse sono io che mi confondo? Mi sa che era a Kyoto che avevo visto una statua dell'Uomo Ragno con indosso una sciarpa principe di Galles.
A girare per il Giappone ne vedo tante di cose, per le strade. Le ambulanze vanno molto lente e il loro suono non è fastidioso come quello delle nostre. Eppure fanno il loro lavoro, ne sono certo. Le automobili sono sempre perfettamente pulite, sia che si tratti di taxi, di macchine di lusso, o di utilitarie fatte con lo stampino, che tra l'altro sono quasi dei cubi con delle ruote. Non sembrano automobili, ma modellini a grandezza naturale presi dal negozio di giocattoli del mondo dei giganti. Sono giorni che mi ripeto che devo trovare il tempo per andarmi a sedere davanti al lavamacchine che c'è vicino casa mia, per osservare come fanno a tenerle così pulite. Non ci sarà nulla di trascendentale, forse. Ma sono sicuro che, anche qui, fanno bene il loro lavoro, e che probabilmente ci sarà anche qualche cosa di più da scoprire.
Ho fatto una cosa simile l'altro ieri, uscendo dalla palestra dell'università di Waseda. Erano giorni che mi dicevo "prenditi un quarto d'ora per guardare i ragazzi e le ragazze dell'associazione di balli di gruppo, qualunque cosa essa sia". Non era tanto il ballo che m'interessava, anche se è affascinante vedere con che precisione trenta studenti universitari giapponesi riescono a coordinare le loro mosse. Quel che aveva catturato la mia attenzione era piuttosto la loro amministrazione. Seduti a una scrivania in un angolo, ogni settimana ci sono un ragazzo e una ragazza, ogni volta diversi, a infilare dei documenti in un fascicolo, riporre il fascicolo su una pila, e applicarvi sopra un adesivo con il nome del tal membro dell'associazione. E poco più in là c'è sempre una ragazza di fronte a una cassaforte portatile che amministra il tesoro, e ancora più in là un'altra coppia che ritaglia grosse lettere per una festa, e ancora più in là qualcuno che è appena tornato con la merenda, e ancora... Sì, potrei continuare, perché quello che stavo osservando era un piccolo meccanismo che funzionava perfettamente pur nella sua natura così profondamente umana. Non si trattava di un orologio, di un drone, o di una qualche altra serie di processi razionalmente allineati. Si tratta di ballare, di condividere, di celebrare, eppure anche queste cose così umane, così squisitamente spontanee e solo apparentemente prive di pianificazione, questi ragazzi le fanno con metodo, come ogni altra cosa. E ogni volta che passando li guardo, mi rendo conto che non è un caso. Che tutto questo fa parte di un'educazione condivisa da tutti in questo misterioso e affascinante paese. Come quel ragazzo che ho appena visto lasciare la palestra dopo un allenamento degno di lode. Si è fermato sulla soglia, si è voltato, le punte dei capelli bagnate di sudore, e prima di andarsene ha accennato un inchino. A chi? A tutti noi, che con lui abbiamo usato la "nostra" palestra.
Eppure non si può pensare di diventare parte di questo popolo. Almeno, non fino in fondo. Prima di tutto, c'è la questione della comunicazione. Questa gente parla una lingua impossibile, a bassa voce, velocissimamente, e spesso con la mascherina davanti alla bocca! Come si fa a capirli se non si è nati qui?? È lunga, ma il punto non è tanto diventare parte del popolo giapponese, quanto capire che lo siamo già; parte di un tutto, così come lo siamo insieme agli altri popoli della Terra. Lo si capisce, lo si sente, quando ti ci vogliono due settimane per appuntarti le cose che ti sorprendono, perché nel frattempo a quel popolo ti ci stai abituando, e non ti provoca più così tanta sorpresa vedere le geisha ferme al semaforo, la scala mobile col corrimano antibatterico, o i bambini che alla fiera del paese invece che pescare anatre di plastica pescano polpi vivi e vegeti.

La meraviglia non scompare, quando ti fai abitare dal mondo, ma cambia forma. Non è più il risultato della sorpresa, di un evento che arriva a scuotere la calma piatta dell'abitudine. Si tratta piuttosto della realizzazione che, conoscendo i popoli, aprendosi all'altro, esponendo la propria vita all'incontro, si passa dalla sorpresa a una sorta di onnipresente meraviglia nei confronti di tutto, e di tutti. E in questo, non solo io sono parte di loro, ma sono anche loro parte di me. E la mia speranza è che, con queste mie parole, diventino anche un po' parte di voi.
Sono davvero contento che l'operazione abbia avuto successo!
i dettagli qui fanno la storia.. e certo che io ne divento parte cme tu della mia..e della loro.che bello leggerti!