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Immagine del redattoreRodolfo Maggio

Bagliore 輝くKagayaku

Tempo di lettura: 3 minuti.

Consigliato con: L'aperitivo d'elezione, preparato come Dio comanda.


Alle sei della sera il buio comincia ad avvolgere la Tokyo Tower e lei inizia a brillare come una fiamma. Una Ferrari bianca procede lenta fino al semaforo, come se la stessero trainando. Dietro di lei una Rolls Royce, anch'essa bianca come il latte, anch'essa lucida come pronta per un'esposizione, anch'essa lenta come una carrozza. Mi dicono che in questa zona vivono i kanemochi. I ricchi. Ricchi come possono essere soltanto i giapponesi nel ventunesimo secolo. Ma non sono tutti necessariamente così tranquilli, così comodi nei loro sedili fatti su misura. Ho visto un ragazzo che non avrà neanche vent'anni guidare una Bugatti decappottabile a tutta birra, svolazzando la frangetta ossigenata e il barboncino cotonato. Un altro, l'ho guardato sgasare come un incapace la propria Lamborghini Huracán viola specchiata, per parcheggiarla, facendo un rumore terribile. Che per altro ha fatto arrabbiare di brutto un altro barboncino cotonato.


Sono venuto qui per salire in cima al Prince Tower Hotel, perché ho letto che la vista è impagabile. A noi che non possiamo permetterci molto, resta sempre quel che non si può comprare. Così, attraverso le alte porte di legno intagliato, guardo le orchidee di guardia come sentinelle del tempio, e cammino lungo il breve corridoio di cristallo che conduce ad altre porte, questa volta di titanio. Intorno a me l'acqua scorre sulle pietre levigate, bianche, nere e grigie. Si sentono solo sezioni di bambù che gorgogliano. Guardo in alto, e la simmetria rischia di farmi svenire. Linee perfettamente equidistanti passano per i punti degli spigoli, e il soffitto che sembra attraversarmi la fronte come un laser. Attorno al punto centrale del soffitto, sei lumi siderali splendono elettrici. Fino alla mia nuca, scorrono gli ascensori avvolti di luce bianca.


Il ventre del palazzo

Entro nell'abitacolo e premo il pulsante del trentatreesimo piano. Un'altezza mediocre, mi dicono, in confronto a molti altri grattacieli d'Asia. Ma il mio primo pensiero non è l'altezza, è il terremoto. Perché non soffro di vertigini, o almeno questo è quel che penso quando comincio a non capire perché mi sta salendo una fifa da morire. Ad ogni piano che passiamo, la paura cresce, una spasmodica voglia di arrivare in cima il più in fretta possibile e al tempo stesso di scendere. Non sto ragionando, e mentre cerco di accettare la distanza che mi separa dal suolo, una distanza che credo di aver vissuto solo al Luna Park, ecco che l'ascensore si ferma. Mi volto, ma le mie mani restano aggrappate alla barra di ottone dorato. Sento che l'anello che porto all'anulare la sta graffiando. Guardo con la coda dell'occhio le porte aprirsi e gli altri passeggeri salire. Sono così tranquilli, e la mia ansia non fa che aumentare.


Quando arriviamo al trentatreesimo mi gira la testa ma cerco di non darlo a vedere. Con spavalderia passo attraverso miriadi di orchidee, di luccichii, di giovani donne vestite da assistenti di volo. Entro in un corridoio illuminato solo dai riflessi sulle pareti di marmo nero e un ragazzo in smoking mi indica il percorso. Si apre davanti a me la vetrata che dà su una Tokyo stellata dalle luci dei grattacieli. Le nuvole basse rendono quella vista ancora più netta e tagliente. Il vetro dei bicchieri dietro al lungo bancone del bar, a confronto, sembra morbido. Un bagliore irradia da una cassa di cristallo piena di ghiaccio e di frutta tropicale. Le bottiglie di whiskey sembrano enormi gioielli di ambra avvolti da etichette pittate di ideogrammi. Una coppia siede su divanetti bassi per lo più vuoti, davanti a un bicchiere di champagne e uno colmo di granita fluorescente.


La musica batte come il cuore nella testa di questo palazzo. È quella che appunto si dice "lounge", Buddha Bar o qualcosa di simile. Bassi lenti, ritmati, e un sottofondo che sembra il respiro di un organo suonato in fondo all'Oceano. Tutto sembra così fragile, come un fiore di vetro colorato che si staglia nel mezzo di un cielo notturno. La mia angoscia non mi abbandona, immagino ancora il terremoto, il fiore spezzarsi, precipitare, e giacere come uno specchio caduto in fondo ad un luogo inarrivabile. Non mi resta che ordinare, e sperare che questa volta il negroni me lo sappiano fare come Dio comanda.

Tokyo, 15 febbraio 2019.

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